Olimpiadi

Le Olimpiadi moderne hanno cento anni, e si celebrano ad Atlanta, la capitale della Coca Cola.

Questo dovrebbe insegnarci qualcosa, se non altro che l’antichità classica sarebbe durata di più se il Partenone, invece delle colonne doriche avesse avuto bottiglioni di Coke. Non ce l’ho affatto con la bevanda americana, tutt’altro : è che certe operazioni mi fanno sentire sempre più a disagio, come quando vedo splendide regioni dalla natura incontaminata pubblicizzate da una marca di sigarette.

Mi domando, come faceva Di Pietro, “ma che c’azzecca ?” Così come mi faccio la stessa domanda - per esempio - verso Natale. Non è questione né di religiosità né, al contrario, di consumismo : anche a me piace un bel cenone, ma perché, per gozzovigliare noi, dobbiamo dare la responsabilità a quel Gesù Bambino che nel frattempo se ne sta al freddo in una mangiatoia ? Ha un che di irritante ipocrisia il non volere ammettere che il motivo della nostra presenza intorno alla tavola non è il Bambino, ma il Cappone.

E così per me è anche la sagra olimpica : un gadget attaccato alla bottiglia di bevanda gassata o alla bustina di integratori alimentari. Lo sport, che c’entra ? In tutto ciò esiste, però, una certa vendetta postuma del barone De Coubertin. Secondo lui, vi ricordate?, l’importante non era vincere, ma partecipare. Ora, chi può negare che l’importante, nelle moderne Olimpiadi, sia la partecipazione ?

Degli spettatori davanti alla tv, naturalmente. A vincere con la pubblicità, poi, ci pensano gli sponsor...

Da Settegi, n. 30 / 1996

 

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